La Fondazione Pomigliano Jazz in collaborazione con l’associazione Zart, in occasione della quindicesima edizione del Pomigliano Jazz Festival, realizza un contenitore creativo dove opere e autori lontani dal sistema chiuso dell’arte contemporanea possano esporre le proprie creazioni.
Una collettiva di artisti per dar vita ad una rassegna di arti aperta a coloro che desiderano mettere in mostra le proprie emozioni.
Tema della rassegna: PRODUZIONE RIPETIZIONE ALIENAZIONE per dimostrare che l’arte rimane uno dei pochi campi LIBERI dove produzione e creazione coincidono, lontano dagli schemi moderni di produzione ripetitiva e alienante, dove la critica è ancora un elemento fondamentale di crescita e verifica di confronto e aggregazione.
Nel 2009 il Terzopiano Autogestito della Facoltà di Architettura di Napoli ha organizzato la quarta edizione de “La Smorfia”, mostra fotografica annuale, autogestita e autofinanziata del collettivo ArkFotoLab.
Il riferimento alla Smorfia, pratica cabalistica della tradizione partenopea (wiki) che stabilisce precise corrispondenze tra numeri del lotto e immagini oniriche, costituisce una suggestiva griglia interpretativa.
Per la quarta edizione dell’iniziativa l’ArkFotoLab ha puntato a realizzare un lavoro di indagine sociale, scendendo in strada per cogliere immagini significative della realtà, nei suoi ambienti di vita collettiva e privata.
“…l’innocenza dello sguardo è un valore in se. Significa vedere come un bambino, con l’ingenuità ed accettazione del prodigio, significa anche veder come vede un adulto che è tornato al punto di partenza e vede di nuovo come un bambino – con ingenuità e senso del prodigioso ancora più profondi.”
“Se decido di scrivere parole, sono sempre reminiscenze dei miei occhi: della terra fertile, delle isole vaghe, del mare sconfinato, del vulcano fumante; e per raffigurare tutto questo mi mancano i mezzi adatti.”
“Dunque Le dirò, noi abbiamo l’appalto per la contatura dei piccioni
su tutte le piazze nazionali…”
Totò in Totò Truffa ’62
Untore volante, parassita d’alta quota, vandalo di monumenti e devastatore di panni stesi al sole (nonché nemico giurato della domestica che li lavò), proverbiale mangiatore di fave e inconcludente bersaglio d’altre maldicenze e dicerie. Ecco alcune definizioni per un ritratto del Columba livia, volgarmente conosciuto come piccione di città. Un ritratto al tempo della post-modernità, ossia da quando, con l’avvento delle comunicazioni veloci, il tanto vituperato pennuto ha interrotto una millenaria collaborazione con l’uomo per ritornare allo stato selvatico e rivendicare finalmente la libertà. Ma dopo averla riconquistata il fiero piccione non se l’è mica vigliaccamente squagliata a cercar rifugio della natura esotica, è rimasto nei grandi conglomerati urbani del mondo, onnipresente tutto l’anno, come chi non può permettersi di andare in ferie e si vendica rovinando le ferie altrui. Dispettoso – dirà qualcuno. Ma si ricordi che l’urbano volatile è stato il più grande viaggiatore e postino di tutti i tempi e vanta nel curriculum un addestramento a percorrere distanze anche molto lunghe, iniziato sin dai tempi degli Etruschi e ancor prima dei Greci; si ricordi ancora che nel ’600 e nel ’700 fu il raffinato svago per nobildonne e cortigiane di mezza Europa; che è stato valoroso protagonista di svariati eventi bellici e infine che nell’800, mentre Oscar Wilde lo immortalava in un aforisma quale “dannata fabbrica volante di sterco”, in Belgio la sua rapidità di spostamento veniva utilizzata per trasferire i messaggi con le quotazioni della Borsa.Chiunque sarebbe dispettoso se avesse perduto il lavoro e insieme uno status sociale simile! Piccione viaggiatore, la piccola mostra che Mauro di Schiavi, architetto, fotografo e viaggiatore, dedica al piccione vale dunque anche a titolo di risarcimento morale. Va detto che l’autore ha rivolto l’obiettivo ad un soggetto zoologico simile non solo per il gusto dell’ornitologia, ma anche per una certa affinità con il mondo dell’architettura, al quale egli appartiene per formazione. A ben vedere, infatti, il piccione è un interprete esperto e attento dello spazio urbano, del quale si è decisamente riappropriato da quando è tornato al suo originario stile di vita wild. Posandosi di continuo su monumenti e su edifici di pregio sparsi un po’ dappertutto nel mondo, il piccione ne giustifica inoltre l’esistenza visiva: cos’è infatti un campanile gotico, il prospetto d’una chiesa barocca, una scultura all’aperto, senza un piccione che gli vola accanto? Defecandoci sopra il piccione entra infine nel merito della critica architettonica, esprimendo con il guano, corrosivo più della penna del più corrosivo dei critici, un giudizio ben preciso e circostanziato. Il luogo che ospita la mostra, l’ostello “LaControra” che prodiga costantemente la sua ospitalità al turista giunto in città in cerca di emozioni estetiche, suscita poi altri imprevedibili spunti di riflessione sul tema. Il piccione infatti non è il nemico del turista, come pensano in molti, ma è il suo alter-ego. Vivono entrambi in un’inconsapevole simbiosi. Non si dà l’uno senza l’altro e le analogie tra il mammifero e l’oviparo sono varie. Insieme al turista, il piccione è uno dei maggiori frequentatori ed estimatori delle città d’arte italiane. Si prenda, come esempio massimo, il caso di Venezia. Entrambi, inoltre, il piccione e il turista, appartengono alla medesima categoria di viaggiatori: quelli che fanno immancabilmente ritorno a casa, a differenza, per esempio, degli esploratori, degli uccelli migratori, degli esuli e degli scopritori e colonizzatori di nuovi mondi, i quali talvolta pure presentano qualche relazione di parentela con il piccione, se non altro nel nome; il caso più noto lo abbiamo avuto in Italia, con il Colombo Cristoforo.
Nei nove scatti presenti in esposizione Mauro Di Schiavi, giocando anche sulla relazione tra immagine fotografica e titolo, ha offerto del piccione di città una rappresentazione originale e ironica. In tale rappresentazione il volatile diventa di volta in volta curiosa presenza segnaletica all’interno di scenari astratti (Superficialità e Approfondimento), protagonista di rivisitazioni musicali e cinematografiche (Il cielo è tutto azzurro di nuvole barocche, Un piccione da marciapiede), interprete di note opere d’arte e letteratura contemporanea (Merda d’artista, L’insostenibile leggerezza dell’essere piccione).
Nel 2008 il Terzopiano Autogestito della Facoltà di Architettura di Napoli ha organizzato la terza edizione de “La Smorfia”, mostra fotografica annuale, autogestita e autofinanziata del collettivo ArkFotoLab. L’iniziativa ha lo scopo di promuovere l’utilizzo della fotografia come strumento di analisi e documentazione delle contraddizioni sociali.
ArkFotoLab 2008
Il riferimento alla Smorfia, pratica cabalistica della tradizione partenopea (wiki) che stabilisce precise corrispondenze tra numeri del lotto e immagini oniriche, costituisce una suggestiva griglia interpretativa.
Dopo aver raccolto il materiale il TPA ha organizzato la mostra nei portici di Palazzo Gravina, sede della Facoltà di Architettura di Napoli.
Alla fine di un anno intenso per via della crisi economica, crisi sociale (proteste studentesche e non solo) e crisi ambientale (discariche e altro), i partecipanti a La Smorfia III hanno deciso di far emergere il loro punto di vista sulla situazione.
L’interpretazione fotografica del numero 7 è stata assegnata a Mauro Di Schiavi.
7 ‘o Vase ( Il vaso )
Nella Smorfia napoletana il significato più comune del 7 ( ‘o Vase ) è il Vaso, nel senso di Contenitore.
Il 2008 è stato caratterizzato, tra l’altro, dalla discutibile ricerca di cave di tufo come nuovi contenitori per i rifiuti indifferenziati che invadevano Napoli e provincia.
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